Sto passeggiando sulla spiaggia sabbiosa davanti a un mare tra l’azzurro e il grigio mentre il sole sta già immergendosi all’orizzonte. Ho guidato tutto il pomeriggio per venire qui e sono stanco, ma sto bene. Poche persone sono sparse per la spiaggia, qualcuno corre, uno porta in giro il cane. Comincia a fare freddo, penso che andrò in albergo. Faccio con calma, non mi aspetta nessuno, mio figlio arriverà domani mattina. Arrivo ad un molo e vedo avvicinarsi una barca a bordo della quale c’è un uomo di bassa statura che indossa una giacca di tela cerata con il cappuccio. Arrivato al molo, lega la barca e scende a terra, si guarda attorno e viene verso di me che sono la persona più vicina a lui. Si toglie il cappuccio con mani dalle dita molto lunghe e sottili e scopre la testa, molto grande rispetto al corpo e completamente calva. Ha grandi occhi con l’iride bianca. Con una voce sottile e metallica mi chiede:
“Come ti chiami?”
“Luigi”.
“Sei in buona salute?”
“Sì. Perché me lo chiedi?”
“Perché ho bisogno che il tuo cervello sia sano.”
“Cosa vuoi da me?”
“Pezzi del tuo cervello, ti opererò di notte, mentre dormi, una volta al mese. Non te ne accorgerai”
“A cosa ti servono?”
“A niente, solo ad esercitarmi. Sul mio pianeta sono un neurochirurgo e prima o poi tornerò e riprenderò il mio lavoro. Per questo non posso perdere la mano. Non troverai nessuna cicatrice, abbiamo tecniche molto avanzate.”
“Dammi una possibilità di salvezza. Si dice che anche la morte talvolta la conceda.”
“Io non gioco a scacchi.”
Detto questo, scompare.
È passato un mese dall’incontro con quell’individuo. Oggi sono felice perché è domenica e vado a fare visita a mio figlio. Suono il campanello e mi risponde:
“Non mi aspettavo di vederti. Sali.”
Entro nel suo appartamento e gli dico:
“Non ci vediamo da tanto tempo, forse pensavi che ti avessi dimenticato. È per questo che non ti aspettavi di vedermi?”
“No, papà, sei venuto ieri, domenica, e quando stavi per andartene mi hai detto che ci saremmo visti fra una settimana”.
Proprio non lo ricordo, e pensavo che domenica fosse oggi.
Mi sono svegliato da un po’, mi tolgo il pigiama, mi lavo e prendo una camicia del cassettone. Vedo che è una camicia ma non so cosa sono quei dischetti bianchi in fila in mezzo e chissà perché tra uno e l’altro di questi la camicia ha delle fessure. Mi chiedo cosa devo farne. Ah sì, la devo indossare, perché ho freddo. Ma non so cosa sono quei due tubi lunghi ai due lati. Ricordo vagamente che per indossarla bisogna infilare un braccio ma non so dove. La rigiro fra le mani più volte ma non so cosa farci. Mi si avvicina una signora che non ho mai visto, prende la camicia, fa dei gesti che non comprendo e in meno di un minuto ho addosso la camicia. Ma che strano!
Sono seduto su una poltrona, davanti a me, su una sedia, sta una donna che non conosco. Entra nella stanza mio figlio che mi chiede:
“Come stai papà?”
“Bene!”
“Sei triste?”
“No. Perché dovrei esserlo?”
“Oggi è l’anniversario della morte della mamma, avvenuta cinque anni fa.”
“Ah sì? Come si chiamava?”
“Daria.”
“Non lo ricordo. Chi era?”
“Tua moglie. Hai sofferto molto durante la sua malattia e per la sua morte.”
Non la ricordo, la scomparsa di una donna di nome Daria mi lascia indifferente. Sono indifferente anche alla presenza di questa donna seduta davanti a me. Chiedo a mio figlio:
“Chi è lei?”
“È Luisa, è la tua badante da tre anni.”
Sono seduto davanti a un disco bianco che ha al centro delle cose di diversi colori, che non riconosco, e a destra e a sinistra due oggetti lunghi e lucidi. La donna che è accanto a me li afferra, ne infila uno in una cosa grigia che si trova nel disco bianco e che offre una modesta resistenza, e muove l’altro avanti e indietro finché un pezzo di quella cosa grigia si stacca. Allora avvicina quel pezzo bianco alla mia faccia ed ecco che sento qualcosa di caldo e dolciastro in bocca. Mastico e deglutisco. Entra nella stanza un uomo che mi dice:
“Ciao papà!”
Chissà chi è e cosa vuole? Mi chiede:
“Chi sono io?”
“Non lo so, non ci conosciamo.”
(Un signore) Allora mi chiede:
“Chi sei?”
“Cos’hai detto?”
“Ti ho chiesto chi sei.”
Ripeto, senza parlare:
“Ti ho chiesto chi sei.”
Lo so cosa vuol dire quello che lui ha detto ma non capisco cosa significhi essere qualcuno. Mi mostra una foto e mi dice:
“Questo sei tu un anno fa”
Guardo la foto, riesco a capire che è un volto, ma cosa significhi che sono io e cosa significa “un anno fa” non lo so. Mi dice:
“Ti riconosci?”. Sono stanco e gli rispondo:
“Non so cosa mi hai detto.”
Dagli occhi di quella figura che mi sta parlando escono delle gocce che scendono sulle guance. Non so cosa gli stia succedendo, so solo che sono stanco di avere a che fare con lui. Compare accanto a me un uomo di bassa statura con la testa grossa e gli occhi bianchi che dice all’uomo che ha la foto in mano:
“Tuo padre non mi serve più, ho tolto tutto quello che potevo dal suo cervello.”
Quello gli risponde:
“Sei stato tu a ridurlo così?”
“Sì.”
Quello ha un impeto d’ira e si avventa sul piccolo individuo ma quello scompare per ricomparire a due metri di distanza e gli dice:
“Non hai nessuna possibilità di farmi del male, sono troppo superiore agli uomini.”
Sconfitto, l’uomo si lascia cadere su una sedia e gli dice:
“Adesso che l’hai ridotto a non essere più un uomo, puoi anche ucciderlo.”
Io non capisco cosa abbia detto, ma sento che quello gli risponde:
“Non ho più alcun interesse per lui, quello lo farà qualcun altro.”
E scompare.
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