Enrico andava spesso in giro con gli amici. Qualche volta in auto, che suo padre gli prestava malvolentieri, visto che aveva appena preso la patente, più spesso in scooter. Tra le ragazze che vedeva in giro alcune avevano abiti particolarmente belli. Lui lo diceva agli amici, qualcuno era d’accordo qualcun altro no. Se gli succedeva di parlare con queste ragazze, l’abito di qualcuna rimaneva bello, quello di qualcun’altra diventava brutto o ancora più bello, ma rimaneva un bell’abito indossato da una ragazza.
Un giorno Enrico incontrò una ragazza con un abito di seta a grandi fiori blu su fondo bianco, che le arrivava sotto il ginocchio, con scollatura a V piuttosto profonda e fascia sotto il seno, spalline a sbuffo e maniche corte. I suoi capelli neri si adagiavano sulle spalle. Lui disse ai suoi amici che quell’abito era particolarmente bello, ma per loro era un abito come tanti. Poiché lui insisteva a elogiare quel vestito dicendo: “Ma non vedete che bei colori hanno i fiori e come stanno bene la scollatura e la fascia sotto il seno?”, loro facevano a gara per trovarne i difetti: c’era chi gli diceva che era troppo serio, un altro che era troppo lungo, un altro che i colori erano smorti, un altro che non le stava bene perché aveva le gambe troppo magre. Enrico ribatteva ad ogni critica e loro si divertivano ad aizzarlo nella difesa dell’abito. Si avvicinò alla ragazza e le fece i complimenti per il suo abito a fiori. Lei prese un’espressione di gioia e gli rispose con molta grazia, manifestamente felice di parlare con lui. Quell’abito divenne meraviglioso per Enrico e, incredibilmente, la sua camicia e i suoi pantaloni anonimi diventarono molto eleganti. Continuando a parlare, lei lo guardava con interesse e ciò che diceva era esattamente quello che pensava Enrico e questo fece sì che Il viso di lei, Luisa si chiamava, divenisse più luminoso, per una luce emanata dal suo abito, e gli occhi più brillanti. Il cuore di Enrico cominciò a battere forte.
I giorni successivi la mente di Enrico era tutta occupata dal ricordo di quel breve incontro e lui fece di tutto per rivederla. La incrociò per strada, fingendo di avere scelto quel percorso per caso. Lei assunse l’espressione di chi aveva capito che non era vero e che ne era felice. Si rividero tutti i giorni e incontrarsi dava loro sempre maggiore gioia. Con il trascorrere del tempo, la gioia di stare insieme divenne esigenza: l’innamoramento era diventato amore. Iniziarono a convivere.
Passavano gli anni ed erano ancora insieme, perché ciò che voleva lei era esattamente la stessa cosa che voleva lui e viceversa. In ogni aspetto della loro vita nessuno dei due commetteva errori che l’altro non potesse comprendere e perdonare. Il comportamento dell’uno nei confronti dell’altra era sempre guidato dal rispetto e dalla conoscenza di ciò che era gradito e sgradito all’altro. Si capivano in un attimo, senza alcuno sforzo, avevano bisogno delle stesse cose e l’uno le dava all’altro, e per questo avevano, l’uno per l’altra, una profonda gratitudine. Il risultato era che e i loro dialoghi rimanevano trasparenti e non contenevano bugie o omissioni. Avevano avuto fortuna.
I loro corpi con gli anni cambiavano, ma l’abito a fiori di Luisa e la camicia e i pantaloni di Enrico rimanevano intatti, non mostravano nessuna traccia di usura. Talvolta i colori sbiadivano e la stoffa perdeva di consistenza, e questo faceva comparire la degradazione che il tempo aveva compiuto sul loro aspetto, ma ad un certo punto i loro abiti tornavano quelli di prima e con questo la gioia di vedersi belli come la prima volta che si erano incontrati.
Un giorno la camicia e i pantaloni di Enrico divennero brutti e logori, mentre l’abito di Luisa rimaneva bellissimo. Lui le chiese cosa fosse successo e lei gli rispose:
“Tu chi sei?”
“Come chi sono? Sono Enrico, il tuo Enrico!”
“Non ricordo nessun Enrico”
“Siamo a casa, la nostra casa!”
“Non dire sciocchezze, io abito con mia madre”
“Tua madre è morta dieci anni fa”
“Tu menti, maledetto!” e si avventò contro Enrico cercando di graffiarlo.
Lui scappò in strada e lei non l’inseguì. Tornò in casa dopo un’ora e la trovò tranquilla davanti alla TV. Le si avvicinò e le chiese:
“Luisa, come stai?”
Lei gli chiese: “Come fai a conoscere il mio nome?”
“Lo conosco perché abbiamo vissuto insieme per trent’anni”
“Non lo ricordo.”
“Non ricordi nemmeno quando ci siamo conosciuti? Non ricordi quanto mi piaceva il tuo abito?”
“Io non ti conosco.”
Enrico si ritirò in un’altra stanza a piangere. Pianse per Luisa, perché era malata, e per sé stesso, perché aveva perso l’amore della sua vita. Quando tornò da lei, il suo bell’abito a fiori era sparito. Questo lo sconvolse: non l’avrebbe mai più vista bella come l’aveva fatta lui. Nei giorni e settimane che seguirono, la memoria di Luisa peggiorava e lei diventava più brutta e questo per Enrico era sempre più doloroso. Per tale motivo faceva ogni sforzo per fare ricomparire l’abito a fiori di Luisa. Lo aiutò in questo un sogno, nel quale la rivide com’era allora e rivisse l’emozione dolcissima del suo sorriso. Questa emozione era ancora presente al suo risveglio e la coltivò come il dono più prezioso che Luisa gli avesse fatto. Allora il suo abito tornò a vestirla, bellissimo, e ad emanare una luce che di nuovo levigava la pelle del suo viso. L’abito rimase lo stesso negli anni successivi, mentre il corpo di Luisa sotto di esso si degradava, come la sua mente, che non le consentiva più di parlare, di vestirsi, di sapere dove si trovasse, e le faceva detestare quell’uomo che le stava intorno giorno e notte e non le permetteva di fare quello che voleva.
Un giorno Enrico trovò Luisa seduta in poltrona nel suo bellissimo abito di seta a fiori blu, con la scollatura che mostrava una pelle gialla. L’abito non mandava più nessuna luce sul suo volto e gli occhi, aperti, immobili, non lo guardavano. Enrico la toccò, era fredda. La osservò per molti minuti senza che il minimo movimento comparisse. Quando ebbe ben chiaro nella sua mente che Luisa non c’era più, lei improvvisamente sparì e il suo abito si adagiò sulla poltrona.
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