Amici
Andrea suonò alla porta di Ugo alle 19,00 di un 30 giugno. Aveva nella borsa termica una bottiglia di Champagne freddo. Ugo gli aprì e Andrea gli porse la borsa dicendogli:
“Buon compleanno, vecchia volpe!”.
Ugo prese la borsa dicendo ad Andrea:
“Grazie, gatto spelacchiato! Entra in questa mesta casa vuota.”
Andrea andò spedito verso il soggiorno di quella casa che conosceva a memoria mentre diceva ad Ugo: “Come mai quest’anno il tuo compleanno, ormai il trentesimo, non l’hai voluto festeggiare in un locale pieno di gente sbronza e belle donne che ballano al suono di musica infernale, ma in questo angusto e silenzioso appartamento con uno noioso come me?”
Si sedette in una poltrona accanto alla vetrina di un mobile che conteneva bottiglie di alcolici di ogni sorta. “Perché è un compleanno speciale questo.”
“Bene. Mi dirai come ci si sente a compiere trent’anni, visto che a me succederà fra poco più di due mesi. Intanto comincia a preparare un gin tonic, se non ti dispiace”.
“Certo.”
Ugo cominciò a preparare il gin tonic andando su e giù tra il soggiorno e la cucina, veloce. Quando l’ebbe terminato e versato nei bicchieri, ne porse uno ad Andrea pronunciando: “Salute” e avvicinando il suo bicchiere a quello dell’amico. Cominciò a bere e continuò.
“Caro Andrea, sono più o meno dieci anni, questa volta, che ci frequentiamo e possiamo dire che ne abbiamo passate di ogni colore”.
“Neanche tante. Questa volta ci è capitato un periodo di pace, vecchia spugna.”
“È vero, bevo un po’ troppo, e sto ingrassando.”
“Quando ti ho incontrato sul bordo di una strada accanto a una moto che non ne voleva sapere di avviarsi, dieci anni fa, eri più magro, ci ballavi dentro nella tuta.”
“E tu, su una vecchia Jaguar XJS decappottabile, scoperta, portavi una camicia a righe verdi, gialle e blu, inguardabile.”
“Ma ci stava bene con il rosso della carrozzeria!”
“Non hai mai capito niente di colori. Anche di macchine non ne capisci granché.”
“Perché tu ne capivi di moto? Era chiaro che quella Norton, prima o poi, ti avrebbe lasciato a piedi. E non ti eri neanche accorto che la batteria era scarica. Ti ricordo che, anche se mi sono diplomato alla scuola di agraria e faccio il contadino, te l’ho fatta ripartire io, con i miei cavi e la mia Jaguar, la tua moto del tubo.”
“Io mi sono diplomato all’ITIS e, anche se faccio l’idraulico e sono rimasto a piedi per la batteria, due o tre cose sui motori più di te le so.”
“Io invece ne ho sempre saputo più di te di cavalli. Li ricordo tutti i cavalli che abbiamo avuto. Li cavalcavamo insieme, schiena contro schiena, in battaglia, allora tu ti chiamavi Guido. Anche allora siamo rimasti insieme, combattendo come templari, per dieci anni, fino a quando fummo uccisi dopo la battaglia di Hattin, il 5 luglio 1187.”
“Hai ragione. Ho molto sofferto pensando che la nostra amicizia veniva spezzata. Quando ti ho ritrovato sulla nave di Cortes, con il nome di Alonso e il grado di capitano, sono stato molto felice. Ho eseguito a puntino tutti i tuoi ordini, anche i più spietati.”
“In compenso, non ho detto niente quando hai ammazzato un uomo solo perché ti sembrava che ti guardasse storto e poi, già che c’eri, gli hai asportato il pettorale d’oro e te lo sei intascato. Ci hai messo tutti nei guai, era un sacerdote di alto rango. Avrei potuto farti impiccare.”
“È vero. Ma l’ho fatto dopo un banchetto nel quale avevo mangiato il fungo nero, il teonanacatl. Non ero in grado di controllarmi, mi credevo un dio ed ero molto arrabbiato con quel sacerdote, che aveva ammazzato decine di bambini nel mio nome. Però in guerra ho sempre fatto il mio dovere, fino al 5 luglio 1520, quando sono morto nella battaglia di Otumba.”
“Ho cercato di difenderti, ma gli aztechi erano troppi.”
“Sì. Ero circondato da quattro guerrieri, ti ho visto cercare di avvicinarti a me e ricevere una pugnalata in una gamba, che ti ha fermato. Hanno fatto presto ad ammazzarmi, mi hanno infilzato ovunque.”
“Ho pianto mentre mi allontanavo, zoppicando, per tornare da Cortes.”
“Beh, non sempre siamo morti in battaglia e devo dire che in questo caso la nostra separazione è sempre stata molto malinconica.”
“Sì. Ci siamo incontrati sulla nave di Francis Drake a Plymouth e siamo andati a Panama. Abbiamo attaccato la città di Nombre de Dios e abbiamo vinto. Poi abbiamo continuato a fare razzie lì attorno e nel 1573 siamo tornati a Plymouth.”
“Già, e lì hai incontrato Evelyn e te ne sei innamorato.”
“Sei venuto al nostro matrimonio poi non ti ho più visto.”
“Mi sono imbarcato con Drake nel 1577 e abbiamo circumnavigato il mondo, mentre tu facevi sfornare marmocchi alla tua bella Evelyn, mio caro rammollito.”
“Perché non sei venuto a cercarmi al tuo ritorno? Ero ancora a Plymouth.”
“Mi sono preso una polmonite che mi ha mandato al creatore, ma non avevo alcuna intenzione di venirti a cercare.”
Andrea non replicò.
“Ci siamo ritrovati dei bei cosacchi dell’Etmanato durante la seconda campagna d’Azov. Gliele abbiamo suonate agli ottomani! Allora Mazepa era stato abile ad allearsi con lo zar Pietro il Grande. Poi purtroppo ha deciso di allearsi con gli svedesi contro i russi. Perché sei rimasto con me a combattere per Mazepa?”
“Perché c’eri tu e perché credevo che avrebbe ottenuto l’indipendenza per i cosacchi.”
“Lo credevo anch’io. Abbiamo fatto un errore che ci è costato molto caro, ma almeno siamo morti insieme nella battaglia di Poltava, l’8 luglio 1709. Non potevamo farcela, i russi erano veramente tanti.”
“Siamo morti, ma come stavo bene avendoti al mio fianco! In quei momenti, che sapevo che sarebbero stati gli ultimi della mia vita, ero convinto che la nostra amicizia avrebbe ancora una volta superato le barriere del tempo.”
“Infatti ci siamo ritrovati nell’esercito di Napoleone ad Austerliz.”
“E siamo rimasti con Napoleone fino a Waterloo, il 18 giugno 1815. Ho mangiato fango e rabbia quel giorno e tu con me. Eravamo nei quadrati della vecchia guardia, non potevamo credere che stessimo perdendo, noi che avevamo fatta grande la Francia.”
“Eri talmente stanco e rabbioso che non ragionavi più. Hai infilzato con la baionetta un inglese almeno quindici volte. Ho dovuto darti un pugno nello stomaco per farti smettere. Stavi per infilzare anche me, ma quando mi hai guardato in faccia i tuoi occhi sono tornati lucidi e hai cominciato a ragionare e a cercare una via di fuga.”
“Nel casino più totale di quella sera siamo riusciti a rimanere uniti e siamo andati a Brest.”
“Io mi ero messo a fare il fabbro e tu, tanto per cambiare, il contadino. Ma ancora mi chiedo come hai fatto a innamorarti di quella Josephine, una grassona grezza che faceva pena.”
“Questo è quanto ricordi tu, caro il mio idraulico. Non era affatto grassona, aveva solo delle gran tette, e riguardo alle buone maniere, tu non sei certo un gentiluomo. Anche questa volta quando mi sono sposato ti sei dileguato. Per dove?”
“Per Marsiglia e da qui per Roma. Mi sono messo al servizio di un principe romano.”
“Fino alla fine dei tuoi giorni?”
“Sì. Ma non c’ho messo molto. La sifilide mi ha ammazzato con una potente meningite dopo pochi anni. Dimmi, cos’hai raccontato alla tua attuale moglie perché ti concedesse di lasciarla sola per trascorrere la serata con un amico?”.
“Che andavo a festeggiare il compleanno dell’amico Ugo.”
“Amico tuo e non suo.”
“Purtroppo è sempre così.”
“Questa non mi ha mai perdonato di averti messo la voglia di andare in moto. Le è rimasta una enorme paura dal giorno dell’incidente.”
“Lei sapeva che io non ero abbastanza prudente e non voleva che usassi la moto. Aveva ragione, visto che sono caduto sull’asfalto bagnato perché andavo troppo forte. Cadendo ho battuto la testa e, nonostante il casco, sono svenuto. Mi hai salvato la vita.”
“Semplicemente mi sono fermato e ti ho portato via dalla strada appena prima che dalla curva spuntasse un camion, che ti avrebbe schiacciato.”
“Allora, dimmi perché è speciale questo compleanno?”
“Perché me ne vado.”
Appena ebbe pronunciata la frase Ugo guardò intensamente il viso di Andrea. Vide quello che sperava di vedere: perse ogni espressività, le palpebre scesero, gli occhi non brillavano più. Dopo diversi secondi gli disse: “Ancora una volta!”
“Già.”
“Pensavo che questa volta avresti potuto sopportare la presenza di Maria.”
“Io non c’entro più nella tua vita quando senti l’esigenza di amare una donna. Diventi un altro, non c’è più quello che combatte insieme a me e io non ti comprendo quando vuoi sposarti, perché non ho bisogno di convivere con una donna. A complicare il tutto, la signora non mi può sopportare, perché mi sente come una minaccia alla vostra unione, forse perché sono un cattivo esempio cambiando donna una volta al mese.”
“Sei geloso delle mie donne!”
“Vedi che non capisci niente?”
“D’accordo, lo so che non ci arrivo.”
“Ti capita di incontrarle?”
“Qui sei tu che non capisci. Ognuna di loro può essere l’amore di una sola delle mie vite. Se mi incontrassero in un’altra vita, sarei un altro uomo, che non ha niente a che fare con quello che hanno amato, e loro per me un’altra donna, on ci riconosceremmo nemmeno. Questa volta te ne andrai per sempre? È la prima volta che mi avvisi che stai per partire.”
“Io dico di no, ma non lo posso sapere. C’è qualcuno che da secoli sta giocando con le nostre vite. Forse non ha ancora deciso dove dovremo trascorrere il resto della nostra esistenza, o forse lo sa e vuole rimandare la nostra separazione definitiva. Stammi bene guerriero”.
Si abbracciarono forte.
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