La malattia di Alzheimer

Avere un cervello che funziona in tutte le sue parti serve, e questo si vede bene nella malattia di Alzheimer. In questa, la prima ad essere danneggiata è la parte grigia che ricopre il cervello, che per questo si chiama corteccia. Poi si ammala anche una parte della corteccia fatta in modo strano e che si trova in un posto anomalo, in profondità, che si chiama ippocampo. Lo vedete, nell’immagine sopra, colorato in giallo.

La malattia di Alzheimer è una delle malattie del cervello, che è quella palla di grasso che occupa buona parte del cranio dell’essere umano. Se tagli il cervello e lo apri, vedi che è in parte bianco e in parte grigio.

Segnali e alterazioni

Come si fa ad accorgersi che la corteccia cerebrale si è ammalata? Se la guardi al microscopio ti accorgi che ci sono delle cose che non dovrebbero esserci, che si chiamano placche. Queste sono formate soprattutto da una proteina che si chiama beta amiloide, ma anche da pezzi di cellule cerebrali. Ci sono altre cose che non dovrebbero esserci: i grovigli di neurofibrille. Questi sono formati da un’altra proteina, che si chiama tau, che nella malattia di Alzheimer è alterata perché le si attacca del fosforo (quindi il fosforo non sempre fa bene al cervello!). Qui di seguito vedi una illustrazione delle alterazioni microscopiche della corteccia cerebrale.

Se guardi il cervello ammalato di Alzheimer senza microscopio, ti accorgi che è rattrappito, ha perso materia, e questo succede in modo disomogeneo: alcune parti perdono più sostanza di altre. Le prime aree cerebrali a rattrappirsi sono l’ippocampo, la corteccia vicino a esso, che si chiama entorinale, e la corteccia cingolata (i carri armati non c’entrano!) posteriore. Poi le aree associative dei lobi cerebrali temporali, parietali e frontali.

Funzioni della corteccia cerebrale

Ogni parte della corteccia cerebrale ha il suo compito preciso.

L’ippocampo serve per non dimenticare quello che succede momento per momento. Le aree associative servono a riconoscere oggetti, luoghi, volti, a eseguire correttamente i gesti (come mandare un bacio con la mano, utilizzare il coltello per tagliare un pezzo di carne, vestirsi, mettere il rossetto sulle labbra), a parlare e a comprendere quello che si sente dire dagli altri, a programmare la sequenza di rapporti di causa ed effetto che porta ad un risultato, a imparare dalle proprie esperienze e modificare il comportamento in conseguenza di questo, a riconoscere lo stato d’animo di un interlocutore, a sapersi comportare quando si è in compagnia di persone, a capire quando qualcuno scherza, a provare tristezza o felicità sentendo ciò che è successo ad altre persone.
Poiché l’ippocampo è la prima struttura ad essere colpita, il primo disturbo di cui ci si accorge quando qualcuno si ammala di Alzheimer è il disturbo della memoria che dipende da esso. Pertanto quella persona fatica a ricordare quello che le è successo una settimana, un giorno o un’ora prima. Poi si altera la funzione delle aree associative, pertanto compaiono le difficoltà a parlare, a utilizzare la penna per scrivere o le posate per mangiare, a riconoscere le banconote o le strade attorno a casa, a vestirsi, a prendere decisioni, a comprendere ciò che succede intorno. Tutto questo avviene gradualmente, e il peggioramento dura anni. Quello che la malattia del cervello provoca, è la demenza, ovvero la perdita delle capacità mentali che si sono acquisite durante tutta la vita.

L’impatto della malattia sulla vita di pazienti

Per la maggior parte delle persone non è noto il motivo per cui si ammalano, ma per alcune si sa che c’è un gene sbagliato, che si tramanda nella famiglia, che induce l’accumulo della sostanza anomala nel cervello e causa i danni cerebrali.

Questo è ciò che puoi trovare in qualsiasi libro di medicina (spiegato ovviamente molto meglio), ma una volta che l’hai imparato, ti rendi conto che ancora non sai niente di questa malattia. Perché? Perché questo non ti dice cosa la malattia provoca nella vita delle persone, e parlo di tante persone, non solo di chi si ammala. Questa è una malattia che colpisce anche, tutti i giorni e per tanti anni, chi ama l’ammalato: più la malattia si aggrava, meno l’ammalato è consapevole di esserlo e più chi se ne occupa deve spendere tempo, energia e provare sofferenza, senza che tutto questo venga colto dall’ammalato. Com’è possibile che una persona non si renda conto di quanto pesi su chi l’accudisce? Perché non ha più memoria né intelligenza: non ricorda e non capisce.

Se non conservo nella mente ciò che mi accade, tutto è presente, non collocato tra un prima e un dopo e se un’azione non è preceduta da una premessa necessaria e seguita da una conseguenza, non ha significato.
Se non ho coscienza delle mie limitazioni, non mi rendo conto che senza qualcuno che mi aiuti la mia esistenza non sarebbe possibile e penso di non avere bisogno di nessuno. Questo pensiero viene addirittura rafforzato dal trovare ogni cosa in ordine in casa e dal nutrirmi regolarmente tutti i giorni, dal trovarmi lavato e con i vestiti in ordine. Se non ricordo chi mi fa la doccia, mi prepara i pasti, lava i miei vestiti e la mia casa, è ovvio che l’unica spiegazione logica per me è che sono io a fare tutto questo, pertanto sono del tutto indipendente. Questo non cancella, fino ad un certo punto della malattia, l’affetto per familiari e amici. Quando però una madre non riconosce più il figlio, cosa può rimanere dell’affetto per lui? E se la madre non ha più niente di quello che era, fino a quando il figlio continuerà ad amarla? Fino a quando basteranno a sostenere questo amore il ricordo di ciò che lei era, la gratitudine per quello che ha fatto per lui?